Il criminal profiler tra realtà e finzione letteraria
Il criminologo non vanta numerosissime rappresentazioni nella letteratura poliziesca. Per lo meno, non altrettanto frequenti rispetto a quelle del poliziotto ufficiale e dell’investigatore privato, profondamente radicati nell’immaginario collettivo.
Eppure, la figura letteraria dello studioso del delitto, principalmente presente nella narrativa poliziesca delle origini, ha anticipato, nella finzione, prospettive metodologiche in seguito effettivamente adottate in sede di investigazione criminale. Dalle riflessioni proposte da personaggi letterari sono scaturiti approcci analitici poi codificati e impiegati dai veri investigatori.
In particolare, i criminologi ante litteram rappresentati dalla letteratura hanno contribuito in modo decisivo al delinearsi del criminal profiling, che tenta di formulare ipotesi sui tratti psico-sociali dell’autore di un crimine partendo dall’esame delle tracce che questi lascia dietro di sé sul luogo del fatto e, in generale, di ogni altra risultanza investigativa.
Si ritiene comunemente che il giallo abbia avuto origine dai racconti di Edgar Allan Poe che narrano le vicende di Auguste Dupin (I delitti della Rue Morgue, 1841; Il mistero di Maria Roget, 1842; La lettera rubata, 1844). In essi, lo scrittore americano delinea quelle che diventeranno le regole, i canoni della drammaturgia poliziesca di matrice classica. E propone una tipologia di protagonista destinata a divenire paradigmatica nell’ambito di tale genere letterario. Un individuo colto, aristocratico, solitario ed eccentrico, privo di un ruolo istituzionale ma in buoni rapporti con funzionari e agenti di polizia, che, con le sue non comuni capacità analitiche, giunge a individuare la soluzione di casi criminali altrimenti destinati a rimanere indecifrabili.
Il modo in cui Dupin – da studioso e, potremmo dire, da filosofo della scienza – scandaglia eventi apparentemente incomprensibili prefigura il tipo di valutazione oggi impiegata appunto dai criminologi che si dedicano al profiling. I primi due racconti citati, in particolare, risultano quasi interamente strutturati come vere e proprie analisi comportamentali, secondo iter argomentativi che tutt’ora costituiscono preziosi esempi per chi stila profili.
Tratti del criminologo, consapevoli, programmatici e declinati in una concreta prospettiva professionale, si ravvisano poi nello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Nel suo romanzo d’esordio, Uno studio in rosso, pubblicato nel 1887, il personaggio illustra al dottor Watson, con cui divide l’appartamento, gli aspetti peculiari del proprio lavoro: “Sono un consulente investigativo, sapete cosa vuol dire? Ecco, qui a Londra ci sono un’infinità di investigatori governativi e un’infinità di investigatori privati. Quando si trovano in difficoltà vengono a trovarmi e io mi ingegno a metterli sulla strada giusta. Loro mi forniscono tutti gli indizi e generalmente io sono in grado di illuminarli grazie alla mia conoscenza della storia del crimine […].”
Dunque, uno studioso di fenomeni criminali che impiega le sue peculiari conoscenze nell’attività di consulenza in ambito investigativo.
“Se voi descrivete una serie di avvenimenti a un gruppo di persone”, considera poi Holmes nel medesimo romanzo, “più o meno tutti si sentiranno di predirvi eventuali conseguenze. Sono tutti in grado di mettere insieme mentalmente le circostanze e di arguirne quel che accadrà in seguito. Ma pochi, venendo a conoscere un certo risultato, si sentiranno grazie alle proprie intime risorse di dedurne le circostanze passate che lo hanno provocato. Alludo a queste facoltà quando parlo di un ragionamento a ritroso o analitico.”
Qui, il personaggio fornisce una efficace sintesi di quello che il filosofo della scienza C.S. Peirce definisce ragionamento abduttivo, che procede dagli effetti (osservabili e, quindi, noti) alle cause (sconosciute). Prospettiva analitica che il detective di Conan Doyle applica, ovviamente, all’indagine criminale: in questo caso l’effetto è costituito dall’evento criminoso e dalle tracce materiali reperibili sulla scena del delitto e la causa dalle caratteristiche personali di chi ha commesso il fatto. Anche in questo caso ci troviamo dinanzi a una efficace e suggestiva prefigurazione del criminal profiling.
Nei romanzi e nei racconti dedicati a Sherlock Holmes abbondano applicazioni di tale metodo. Valga, tra tutte, la descrizione (un vero e proprio “profilo”) che, ne Il segno dei Quattro, il detective, dopo una attenta analisi delle tracce presenti sulla scena di un omicidio, fornisce di uno degli assassini: “è un uomo poco istruito, non di grande statura, agile, ha perduto la gamba destra, e usa un arto di legno consumato all’interno. […] è un uomo di mezza età, molto abbronzato dal sole, ed è un ex forzato.”
Si dice spesso che, per poter individuare i tratti della personalità di un criminale sconosciuto, un profiler debba possedere spiccate capacità di immedesimazione. Lo afferma, tra gli altri, Roy Hazelwood, già membro dell’Unità di Analisi Comportamentale dell’F.B.I., cui appunto si devono, a partire dagli anni Settanta del Novecento, i primi studi specifici sul profiling. Anche questo aspetto dell’analisi criminologica applicata all’investigazione criminale è stato anticipato dalla narrativa poliziesca. Vi fa riferimento, ancora una volta, il detective di Conan Doyle, nel citato Il segno dei Quattro e nel racconto L’avventura del fabbricante di colori a riposo.
L’importanza, per chi investiga, dell’immedesimazione nella personalità del criminale viene sottolineata anche dal Padre Brown di G.K. Chesterton, altro significativo protagonista della narrativa poliziesca, la cui prima apparizione risale al 1910 nel racconto La croce azzurra. Prete cattolico all’apparenza sprovveduto e inoffensivo e dotato, al contrario, di una profonda capacità di scandagliare l’animo dei delinquenti, nel racconto Il segreto di Padre Brown, spiega così il suo metodo di indagine: “Ho progettato quei crimini con molta cura […]. Ho pensato esattamente a come si potesse fare una cosa del genere e in che stile e in che stato mentale un uomo potesse farla. E quando fui certo di sentirmi esattamente come l’assassino, era chiaro che sapevo chi fosse.”
Una interessante riflessione sull’approccio investigativo basato sull’analisi comportamentale ci viene inoltre proposta da Philo Vance, protagonista dei romanzi di S.S. Van Dine, colto e raffinato esteta che partecipa in via informale alle indagini del procuratore distrettuale di New York. Esordisce ne La strana morte del signor Benson (1926), in cui tra l’altro si legge: “Tutti noi facciamo cose […] in modo del tutto personale, a seconda del nostro temperamento. Ogni azione umana, non importa se grande o piccola, è espressione diretta della personalità di un individuo e porta il segno distintivo della sua indole. […] Proprio come un esperto esteta può analizzare un quadro e dirvi chi l’ha dipinto, o descrivere la personalità e il temperamento dell’artista, così un esperto psicologo può analizzare un crimine e dirvi chi l’ha commesso – nel caso che conosca la persona in questione – o altrimenti descrivervi, quasi con certezza matematica, la personalità e il carattere del criminale.”
Di rado ci si imbatte, in un’opera di fiction, in una sintesi più precisa e puntuale della funzione cui assolve il criminal profiling. Certo, nella realtà, l’interpretazione criminologico-comportamentale delle tracce materiali di un crimine può rivelarsi ardua e non certo idonea ad approdare a “certezze matematiche”, come affermato (e auspicato) dal personaggio. La narrativa, ovviamente, tende alla semplificazione e all’idealizzazione. Ma, come abbiamo visto, proprio l’intuizione di alcuni narratori particolarmente in sintonia con le problematiche dell’investigazione criminale ha permesso di indirizzare gli studi criminologici verso inedite, significative applicazioni. Ha dunque ragione John Douglas, uno dei profiler che hanno fornito maggiore impulso alle ricerche dell’Unità di Analisi Comportamentale dell’F.B.I., quando afferma che “I nostri predecessori sono da ricercarsi più nella narrativa criminale che nel crimine vero e proprio.”
(Estratto dal volume Block notes di un criminologo. Articoli, relazioni e soliloqui, EdUP, 2022).
Riferimenti bibliografici
Chesterton G.K., Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown, Newton Compton, Roma, 2011.
Conan Doyle A., Tutto Sherlock Holmes, Newton Compton, Roma, 2001.
Douglas J., Olshaker M., Mindhunter. La vera storia del primo cacciatore di serial killer americano, Longanesi, Milano, 2017.
Eco U., Sebeok T.A. (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Bompiani, Milano, 1983.
Hazelwood R., Michaud S.G., Ossessioni criminali, Mediterranee, Roma, 2009.
Marrone L., “Il criminal profiling: attitudine all’immaginazione e rigore processuale”, in Ascari M., Calanchi A. (a cura di), I labirinti della mente. Tra criminal profiling e thriller psicologico, Aras, Urbino, 2018.
Poe E.A., Auguste Dupin investigatore e altre storie, Einaudi, Torino, 1997.
Van Dine S.S., Tutti i romanzi gialli. Le indagini dell’investigatore Philo Vance, Newton Compton, Roma, 2013.
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